Quando, nel V secolo a.C., i familiari arrivarono sulla scena della catastrofe, iniziarono a frugare tra le macerie della sala in cui si era tenuto il banchetto alla ricerca di un qualsiasi segno di riconoscimento - un anello, un paio di sandali - che consentisse di identificare i loro cari e dar loro degna sepoltura.
Qualche minuto prima, il poeta Simonide di Ceo si era alzato in piedi e aveva declamato un'ode in onore di Scopa, un nobile tessalo. Simonide si era appena seduto quando un messaggero attirò la sua attenzione dandogli una botta sulla spalla. Fuori lo aspettavano due giovani a cavallo che avevano urgenza di parlargli. Simonide si rialzò e usci dalla stanza. Proprio nel momento in cui varcò la soglia, il tetto della sala crollò in una nuvola tonante di polvere e frammenti di marmo.
A quel punto davanti a lui si apriva un paesaggio di rovine e corpi sepolti. L'aria, che pochi attimi prima aveva risuonato del chiasso delle risate, si era fatta silenziosa e densa di fumo. I soccorritori si misero freneticamente all'opera scavando tra le macerie del palazzo. I cadaveri estratti da quello sfacelo erano straziati al punto da essere irriconoscibili. Nessuno era in grado di dire con certezza chi avesse partecipato al banchetto. Una seconda tragedia si sommava alla prima.
Fu allora che accadde qualcosa di straordinario, qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la nostra concezione della memoria. Simonide si isolò dalla confusione che aveva intorno e nella sua mente fece scorrere il tempo a ritroso. I cumuli di marmo tornarono a essere colonne e i frammenti dei fregi sparpagliati si ricomposero sopra le colonne. I cocci disseminati tra i detriti riacquistarono la forma del vasellame. Le schegge di legno che spuntavano dalle rovine si riassemblarono in un tavolo. Simonide intravide, ognuno al proprio posto, gli ospiti che se l'erano spassati ignari dell'imminente catastrofe. Vide Scopa che rideva a capotavola, di fronte a lui un suo amico poeta che con un pezzo di pane raccoglieva gli avanzi nel piatto, un nobile che ammiccava. Si voltò verso la finestra e vide il messaggero avvicinarsi con l'aria di voler comunicare qualcosa di importante. Simonide aprì gli occhi. prese per mano a uno a uno i parenti sconvolti e, superando con cautela i cumuli di detriti, li guidò in mezzo alle macerie nei punti in cui erano stati seduti i loro cari.
Fu in quel momento che, secondo la leggenda, nacque l'arte della memoria."
Tratto da "L'arte di ricordare tutto. Storia, scienza e miracoli della memoria" di Joshua Foer. Il titolo in lingua originale è "Moonwalking with Einstein".
Palazzo della memoria - tecnica dei loci |
Se questo articolo ti è piaciuto vedi anche: Joshua Foer racconta le prodezze della memoria degli mnemonisti e la tecnica dei loci o del palazzo della memoria
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Cicerone, oratore, politico e filosofo romano vissuto nel I secolo a.C. , ha raccontato la stessa storia:
Cicerone, dal De Oratore:
"Ringrazio quel famoso Simonide di Ceo che, a quanto si dice1, inventò per primo l'arte della memoria. Dicono che, mentre Simonide cenava a casa di Scopa – uomo ricco e nobile- a Crannone in Tessaglia, ed avesse cantato quella poesia, che aveva scritto per di lui, nella quale, secondo l’usanza dei poeti, c’erano scritte molte parole di elogio riguardo a Castore e Polluce, quello (Scopa) con una certa grettezza avesse detto a Simonide che gli avrebbe dato la metà della somma pattuita per quella poesia e che, se gli fosse sembrato opportuno, chiedesse il resto ai suoi Tindaridi (Dioscuri) che nello stesso modo aveva lodato. Raccontano che poco dopo sia stato detto a Simonide di uscire e che c’erano certi due giovani sulla porta che lo chiamavano con insistenza. [Si dice che] egli si fosse alzato,fosse uscito e che non avesse visto nessuno, che nel frattempo fosse crollata la stanza dove Scopa stava banchettando e che quello fosse morto schiacciato con i suoi parenti. Si dice anche che volendoli i loro congiunti seppellire e non potendoli riconoscere in nessun modo perché sfigurati, Simonide, dato che si ricordava il luogo dove ognuno di loro era seduto, fosse stato colui che indicò ciascuno da seppellire(lett.: fosse stato il dimostratore di ciascuno da seppellire). Allora, ammonito da questo fatto, si dice che abbia scoperto che è innanzitutto l’ordine che fa luce alla memoria. Pertanto quelli che vogliono esercitare questa facoltà della (loro) mente, devono prendere dei luoghi e devono raffigurare nella mente, e collocare in quei luoghi, quei concetti che vogliono tenere a memoria; così l'ordine dei luoghi conserverà l'ordine degli argomenti, mentre la raffigurazione dei concetti indicherà i concetti stessi, e noi ci serviremo dei luoghi come della cera e delle immagini come delle lettere."
Cicerone sottolinea l'importanza delle immagini mentali e dei luoghi fisici, ovvero la tecnica dei loci o del "palazzo della memoria".
Le immagini mentali:
"(...) nella nostra mente prendono forma soprattutto le immagini delle cose trasmesse e impresse dai sensi; fra tutti i nostri sensi, il più acuto è la vista: perciò e possibile ricordare con molta facilità ciò che abbiamo percepito con l'udito o il pensiero se lo consegniamo alla mente anche con l'aiuto della vista; così una forma visibile o un'immagine o un'effigie possono indicare cose nascoste e che non cadono sotto il giudizio della vista con tanta efficacia da renderci quasi visibile ciò che a stento possiamo abbracciare con il pensiero. (...)"
I luoghi (loci):
"(...) Per queste forme e per queste immagini corporee, così come per tutto ciò che ricade sotto la vista, c'e bisogno di una sede: infatti un corpo non può essere immaginato senza un luogo in cui collocarlo. (...) bisogna servirsi di molti luoghi, ben evidenti, chiari, situati a poca distanza l'uno dall' altro, e di immagini vive, intense, significative, che possano presentarsi alla mente con prontezza e colpirla. (...)";
La memoria verborum (memoria delle parole):
"(...) La memoria delle parole (...) si distingue per una maggiore varietà di immagini. Vi sono infatti molte parole che, come articolazioni, mettono in connessione fra loro le parti dell'orazione, e che non possono essere rappresentate tramite nessuna analogia: dobbiamo dunque crearci in questo caso delle immagini particolari di cui servirci sempre. (...)"
La memoria rerum (memoria delle cose):
"(...) propria dell'oratore la memoria delle cose (...) possiamo fissarla disponendo con cura le singole figure rappresentative, così da tener stretti i pensieri tramite le immagini, il loro ordine tramite i luoghi. (...)" Cicerone - Dell'oratore
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